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Mario Avagliano
Mario Avagliano presenta il suo ultimo libro "Di pura razza italiana"
[07 12 2013 ]


In libreria "Di pura razza italiana" di Mario Avagliano e Marco Palmieri: la storia della reazione degli italiani "ariani" di fronte alle leggi razziste tra il 1938 e il 1943
(Baldini & Castoldi, 448 pagine, 18,90 euro) Nella foto, gli autori del libro: Mario Avagliano e Marco Palmieri.


In occasione del 75° anniversario delle leggi razziali, esce in tutte le librerie il nuovo saggio di Mario Avagliano e Marco Palmieri, Di pura razza italiana (Baldini & Castoldi, pp. 446, euro 18.90), che per la prima volta in Italia, mette a fuoco la reazione di complicità, indifferenza, opportunismo, e in rari casi di solidarietà, degli italiani "ariani" ai provvedimenti e alla persecuzione antiebraica nel nostro Paese, attraverso una ricognizione ampia e approfondita dei documenti coevi da tutta Italia, quali diari, lettere, denunce, articoli di giornale e relazioni fiduciarie. Un libro potente di denuncia. Una lettura necessaria.

Dalla recensione di Aldo Cazzullo, Corriere della Sera: "Pagine emozionanti, che colpiscono e indignano. Una cronaca impietosa, una sorta di "romanzo criminale" dell'antisemitismo italiano". Massimo Bray, ministro dei Beni culturali: "L'approvazione delle leggi razziali rappresenta, ancora oggi, una ferita aperta e una pagina buia della nostra storia del secolo scorso. A 75 anni dalla loro promulgazione, il volume che oggi viene presentato ha il pregio di voler costituire un ulteriore e prezioso tassello per la ricostituzione di una imprescindibile memoria collettiva, radice di ogni vero spirito democratico e speranza per un futuro di pace, a difesa della persona e dei suoi diritti inalienabili".

Il libro
"È tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti". Così recitava il Manifesto della razza che nel luglio 1938, dopo una virulenta propaganda sui giornali, ufficializzò la svolta antisemita dell'Italia fascista. Entro novembre il regime passò dalle parole ai fatti, varando le cosiddette leggi razziali che equivalsero alla "morte civile" per gli ebrei, banditi da scuole, luoghi di lavoro, esercito, ed espropriati delle loro attività. La bella gioventù dell'epoca (universitari, giornalisti e professionisti in erba) rappresentò l'avanguardia del razzismo fascista. Molti di loro avrebbero costituito l'ossatura della classe dirigente della Repubblica, cancellando le tracce di quel passato oscuro. Non a caso, per lungo tempo la persecuzione è stata declassata dalla memoria collettiva, e da una parte della storiografia, a una pagina nera che gli italiani, in fondo "brava gente", avrebbero subìto passivamente. Per restituirci un'immagine quanto più veritiera possibile dell'atteggiamento della popolazione di fronte alla persecuzione dei connazionali ebrei, Avagliano e Palmieri hanno compiuto una ricognizione di un'enorme mole di fonti (diari, lettere, carteggi burocratici e rapporti dei fiduciari della polizia politica, del Minculpop e del Pnf) dal 1938 al 1943. Ne è emersa una microstoria che narra un "altro Paese", fatto di persecutori (i funzionari di Stato), di agit-prop (i giornalisti e gli intellettuali che prestarono le loro firme), di delatori (per convinzione o convenienza), di spettatori (gli indifferenti) e di semplici sciacalli che approfittarono delle leggi per appropriarsi dei beni e le aziende degli ebrei. Rari i casi di opposizione e di solidarietà, per lo più confinati nella sfera privata. Complessivamente in quegli anni bui milioni di persone si scoprirono di pura razza italiana e i provvedimenti razziali riscossero il consenso maggioritario della popolazione.
Mario Avagliano
Cava de' Tirreni
Mario Avagliano è nato a Cava de' Tirreni. Vive e lavora a Roma. Giornalista professionista, studioso di Storia contemporanea, è vicedirettore delle Relazioni Esterne e della Comunicazione dell'Anas e collabora con il quotidiano E Polis e con varie riviste storiche. Ha lavorato per diverse testate tra cui: Il Messaggero, il Giornale Radio della Rai, il Giornale di Sicilia, i quotidiani del gruppo Agl-L'Espresso ed è direttore responsabile di Cavanotizie.it, Noceranotizie.it e Vietri Notizie.it. E' membro dell'Istituto Romano per la Storia d'Italia dal Fascismo alla Resistenza e della Sissco, direttore del Centro Studi della Resistenza dell'Anpi di Roma-Lazio, membro del comitato scientifico dell'Istituto Storico "Galante Oliva" di Nocera Inferiore e direttore e webmaster del portale "storiaXXIsecolo.it". Finora ha pubblicato:
  • Il partigiano Tevere. Il generale Sabato Martelli Castaldi dalle vie dell'aria alle Fosse Ardeatine (1996);
  • Roma alla macchia. Personaggi e vicende della Resistenza (1997);
  • Il Cavaliere dell'Aria. L'asso dell'aviazione Nicola Di Mauro dal mitico Corso Aquila ai record d'alta quota (1998);
  • "Muoio innocente". Lettere di caduti della Resistenza a Roma (in collaborazione con Gabriele Le Moli, 1999);
  • Il Profeta della Grande Salerno. Cento anni di storia meridionale nei ricordi di Alfonso Menna (in collaborazione con Gaetano Giordano, 1999);
  • Generazione ribelle. Diari e lettere dal 1943 al 1945 (Einaudi 2006);
  • Gli Internati Militari Italiani. Diari e lettere dai lager nazisti 1943-1945 (in collaborazione con Marco Palmieri, 2009).

    Il sito ufficiale: dott. Mario Avagliano
  • Marco Palmieri e' nato a Isernia. Giornalista e studioso di Storia contemporanea, ha lavorato per diverse testate; e' membro del Centro Studi della Resistenza dell'Anpi di Roma-Lazio e ha pubblicato numerosi articoli e saggi sulla deportazione, l'internamento e le vicende militari italiane nella Seconda guerra mondiale. Per Einaudi ha pubblicato, con Mario Avagliano, Gli Internati Militari Italiani. Diari e lettere dai lager nazisti 1943-1945 (2009).
    L'ultimo libro di Mario Avagliano: "Gli internati militari
    italiani - Diari e lettere dai lager nazisti (1945-1953)
    "
    Cava [ 24 09 2009 ]
    L'odissea dei fedeli senza Stato
    La tragica storia dei seicentocinquantamila internati militari italiani che negarono la loro adesione alla Repubblica sociale viene ora ripercorsa nell'ultimo libro di Mario Avagliano, che raccoglie diari, lettere e testimonianze dai lager nazisti. Cosi' tra il 1943 e il '45 nacque la prima forma di silenziosa resistenza dei traditori traditi.

    Franco Marcoaldi
    "Il cervello e' un vulcano di pensieri: la vita, la casa, i tedeschi. La testa mi scoppia. Che fare? Alle 24, invece del cambio, arrivano altri uomini armati. Uno dice: "Altro che pace!" e' la guerra di nuovo. Contro i tedeschi, stavolta". Cosi' l'allievo ufficiale Lino Monchieri annota nel proprio diario la sensazione di assoluto smarrimento di fronte al collasso dell'8 settembre, collasso di un esercito e di una intera nazione, a cui fara' seguito la cattura e la deportazione nel Terzo Reich di centinaia di migliaia di soldati e ufficiali italiani, la maggior parte dei quali, negando la loro adesione alla Repubblica Sociale, daranno vita alla prima forma di resistenza contro il nazifascismo. La storia, a lungo rimossa, dei seicentocinquantamila internati militari italiani viene ora ripercorsa in un importante libro di Mario Avagliano e Marco Palmieri, che raccoglie diari e lettere dai lager nazisti nel periodo 1943-1945. E niente come questa grande massa di documenti personali (compreso un capitolo dedicato a chi decide di stare dalla parte dei tedeschi e dei repubblichini), riesce a dar conto di una vicenda storica complessa e tragica, in cui l'umiliazione di un intero popolo si intreccia a una progressiva presa di coscienza individuale e collettiva, a una fedelta' nelle proprie convinzioni pagata molto duramente. E per nulla ricompensata dalla nazione italiana. Dopo lo sbandamento seguito all'8 settembre, i tedeschi disarmano circa un milione di uomini, "di cui 196.000 fuggono o vengono liberati, 94.000 aderiscono subito, oltre 13.000 muoiono prima di arrivare nei lager e ben 710.000 vengono deportati con lo status di Imi".


    Dall'Italia, dalla Francia, dai Balcani, cominciano a partire alla volta del Terzo Reich lunghe tradotte dove i militari italiani vengono stipati come bestie, dentro vagoni sigillati: "Cerchiamo di sdraiarci alla meglio", scrive l'allievo ufficiale Giovanni Notte, "ma e' impossibile. Sembra che nani maligni si siano divertiti ad allungare i piedi e le gambe. Se allunghi un piede, trovi subito dieci, venti piedi e un buon numero di persone che urlano".L'impatto con i lager, se possibile, e' ancor piu' terrificante di questa peregrinazione alla cieca nel cuore dell'Europa: l'offesa patita dai carcerieri, ex alleati, risulta da subito insopportabile. Chi e' stato tradito dal proprio Stato ora deve, in sovraprezzo, sentirsi definire traditore. Trattato come un "sottouomo" dai suoi aguzzini. Le condizioni igieniche sono pietose: "Il campo era privo di fogne", ricorda il sottotenente Gastone Petraglia. "L'acqua sporca stagnava lungo rigagnoli scavati nella sabbia e molto vicini alle baracche. Si beveva acqua inquinata e non potabile. Oltre a cio' lo spurgo delle latrine andava a finire nelle vicinanze di quelle pompe infiltrandosi in tal modo nell'acqua". Se a tutto cio' si assommano gli effetti dell'intollerabile freddo di un primo, rigidissimo inverno, ecco spiegato l'immediato dilagare di tubercolosi, dissenteria, malaria, tifo petecchiale. Ma il nemico numero uno e' e sara' per tutto il periodo della prigionia, la fame. Una fame lancinante, onnipresente: un buco nero che niente riesce a placare. La brodaglia quotidiana di rape e pane di segala, chiamata in gergo sbobba, e' assolutamente insufficiente. Cosi' c'e' chi finisce per contendere il fieno ai cavalli, per mangiare la legna bruciata. Il rischio della pazzia e' sempre dietro l'angolo e difatti non mancano casi in cui sotto il materasso di prigionieri morti di inedia, si trovano pagnotte nascoste e accumulate nel corso dei mesi. Il cibo diventa una vera e propria ossessione che popola le fantasie notturne degli internati. Giuseppe Volpi racconta di un ricorrente "sogno aritmetico": "Turbato che il mio accantonare un settimo di razione mi desse in due giorni solo un quinto in piu', stanotte ho fatto di nuovo le operazioni con le frazioni ed ho trovato la soluzione. Mettendo via un settimo piu' un quinto al giorno, e cioe' dodici trentacinquesimi, pari per difetto a un terzo, avro' alla domenica due razioni".Al risveglio, pero', queste elucubrazioni lasciano il tempo che trovano. E nella crescente disperazione si tenta la strada del mercato nero: un orologio, un paio di guanti e di stivali contro lardo, pane, tabacco. Nel lager polacco di Benjaminowo la "borsa" ha luogo nei cessi, e i detentori del "listino" sono i polacchi destinati alla pulizia dello sterco, altrimenti detti "merdaioli". "Il mercato", annota il sottotenente Antonio Rossi, "deve svolgersi di nascosto e percio' avviene nell'interno del gabinetto ed il "merdaiolo" per far entrare la merce nel campo la mette in una cassetta che poi sprofonda nel carro sporco. E non e' raro che qualche pagnotta non sia proprio pulita".


    Si', la fame e' la parola chiave attorno a cui ruota tutta la vita del prigioniero. E ben lo sanno i tedeschi, che battono e ribattono su questo tasto nella loro reiterata proposta di adesione alla Repubblica Sociale rivolta agli ufficiali italiani (diverso il caso di sottufficiali e truppa, che dopo l'iniziale rifiuto vengono spediti al lavoro coatto per rimpiazzare la manodopera tedesca impegnata sui fronti di guerra).Dunque il "no" ai nazisti da parte di ciascun ufficiale e' reiterato, continuo, cio' che rende ancor piu' commovente e ammirevole questa lotta senza armi contro il nazifascismo. E ripropone la domanda su quali siano state le ragioni che hanno spinto un numero cosi' alto di militari a perseverare nella propria scelta. Lo spettro delle motivazioni e' quanto mai ampio e gli autori del libro (oltre a Giorgio Rochat, nella sua prefazione) ne danno puntualmente conto: soprattutto all'inizio gioca un ruolo fondamentale la stanchezza nei confronti della guerra; imprescindibile e' l'attaccamento alla divisa e alle stellette, il giuramento dato al re e non a Mussolini; mentre assume un peso crescente l'odio maturato giorno dopo giorno nei confronti dei carcerieri tedeschi. Il fatto e' che ciascuno di questi uomini, per la prima volta in vita sua e dopo essere stato imbevuto per anni e anni di ideologia fascista, ora deve fare i conti con la propria coscienza. E maturare individualmente le proprie decisioni, nelle peggiori condizioni possibili. "Siamo soli", scrive il capitano medico Guglielmo Dothel, "non combattiamo piu' per nessuno ma solo per noi stessi in nome della nostra coscienza, del nostro onore, della nostra dignita' di uomini". La scelta, oltretutto, si rivela tanto piu' difficile perche' la condizione assolutamente anomala di "internato militare" (pervicacemente voluta da Hitler), impedisce qualunque controllo e conforto da parte degli organismi internazionali preposti, in primis della Croce Rossa. Senza contare la percezione di un totale abbandono da parte di cio' che resta dello Stato italiano, mentre per contro montano le pressioni di quei familiari che invitano i loro congiunti a lasciar perdere e a ritornare a casa. Paradossalmente, e' proprio all'interno del lager che i nostri militari troveranno le energie necessarie a portare fino in fondo la propria decisione, rinsaldata da una crescente consapevolezza antifascista. Si', e' nel lager, perche' li' nasce quella singolarissima comunita' che Giovanni Guareschi definira' "Citta' Democratica"; il primo germe di democrazia con cui vengono a contatto giovani cresciuti tra fasci littori, adunate di Balilla e Avanguardisti, e che ora - nel luogo piu' impensato, tremendo - si trovano a discutere della libera scelta individuale. E ad apprendere, in lunghe serate trascorse in baracca, i primi rudimenti di filosofia, politica, storia italiana, poesia, musica, teatro. Pensate solo quale concentrato di intelligenze e talenti era presente nel gia' citato campo di Benjaminowo: Guareschi, il caricaturista Novello, il poeta Rebora, il filosofo Enzo Paci, l'attore Gianrico Tedeschi. Che incredibile scuola di vita, deve essere stata. In una lettera inviata dal capitano Giuseppe De Toni al fratello Nando e letta da Radio Londra, e' scritto: "Ho letto di Madri, Mogli, Figli che chiedono, implorando in buona fede una firma disonorevole; io stesso ho ricevuto, e non una sola volta, una invocazione rivolta al mio cuore di marito e padre, un appello diretto alla ragione. e' la prova suprema per un uomo. Ma c'e' qualcosa in me, in noi, che supera ogni lato affettivo, ogni tentazione, ogni lusinga, qualcosa che ci permette di vincere anche il nostro egoismo che si fa spesso tanto prepotente".De Toni intuisce che in Italia si comincia a insinuare che gli Imi siano in realta' degli attendisti, addirittura degli imboscati. "Siete in buona fede e solo per questo possiamo perdonare la vostra debolezza. Ma da voi, da tutti voi, non attendiamo solo un aiuto materiale, pur tanto prezioso, quell'aiuto che salva la nostra esistenza fisica. Noi attendiamo, come ancor piu' prezioso, piu' necessario, il vostro aiuto morale, il conforto della vostra comprensione, il vostro incitamento a resistere".Purtroppo le cose non andranno nel senso auspicato dal capitano. Quando, finita la guerra, gli internati militari italiani sopravvissuti all'orrore del lager torneranno in Italia, troveranno una patria a dir poco distratta. L'unica Resistenza ufficialmente riconosciuta e' quella dei partigiani. L'onore militare e la fedelta' al re sono monete vecchie, ormai fuori corso. La ferita aperta dalla catastrofe istituzionale dell'8 settembre va dimenticata a tutti i costi. Cosi' la ribellione silenziosa e disarmata di centinaia di migliaia di italiani si trasforma in una esperienza di cui e' meglio tacere, che induce addirittura a un sentimento di vergogna. E quella drammatica storia finisce per essere allontanata dalla memoria collettiva di un paese che ancor oggi, a sessantacinque anni da quegli avvenimenti, paga un altissimo prezzo per la mancanza di un passato condiviso. Aveva ragione Guareschi: "I piu' pericolosi nemici dell'Italia, mi vado convincendo che sono proprio gli italiani". (la Repubblica, domenica 6 settembre 2009)
    Mario Avagliano
    Cava de' Tirreni
    Dal 9 maggio in tutte le librerie italiane l'ultimo libro di Mario Avagliano:
    "Generazione ribelle"
    Diari e lettere dal 1943 al 1945
    "

    nella prestigiosa collana storica della Einaudi Editore
    con introduzione di Alessandro Portelli.

    Nella raccolta e' inclusa anche una lettera e la biografia del generale cavese Sabato Martelli Castaldi, medaglia d'oro della Resistenza.
    "Generazione Ribelle" la storia della Resistenza, della deportazione e degli IMI attraverso le lettere e i diari dei protagonisti

    Piu di 150 testimonianze di partigiani, internati militari, donne, preti, deportati, raccolte in anni di ricerche presso archivi pubblici e privati: un diario di quei giorni, "scritto" dagli stessi protagonisti

    Dall'introduzione di Alessandro Portelli
    "Questa raccolta e' un contributo importante e necessario non solo per documentare dall'interno aspetti concreti, quotidiani, dell'esperienza della guerra, della Resistenza, dell'internamento, ma soprattutto per dare consistenza concreta ed eloquente a quello che, con felice immagine, Claudio Pavone ha chiamato "la moralita' nella Resistenza". Per quali ragioni, con quali sentimenti, con quale bagaglio culturale e ideale ciascuno individualmente ha scelto di resistere, andando in montagna o rifiutando l'adesione alla Repubblica Sociale: di questo ci parlano le lettere, i diari, i "testamenti" raccolti con scrupolo e passione da Mario Avagliano.
    Lettere e diari hanno il pregio inestimabile, assai caro alla tradizione storiografica, di essere fonti coeve, non filtrate quindi dal tempo e dalla memoria (anche se, correlativamente, prive dei vantaggi della prospettiva). Certamente, pochi documenti possono rendere conto con piu puntualita' ed eloquenza dello stato d'animo di quel tempo, di quanto non facciano queste pagine vergate nella pienezza del tempo, i diari che analizzano le modalita' e le ragioni della scelta partigiana nel pieno del suo farsi, quegli ultimi scritti, le lettere dei condannati a morte, o i testamenti spirituali, dove convergono la tragedia del presente, la memoria degli affetti e l'insegnamento per il futuro
    "

    Il libro
    La ricerca da cui e' nato questo libro e' un tentativo di ricostruire dal vivo una cronaca dei due anni della Resistenza italiana, scandita attraverso i diari e le lettere ai familiari, alle fidanzate o agli amici di partigiani, di militari e di deportati.
    Ne scaturisce un diario di quei giorni, "scritto" dagli stessi protagonisti. Un diario non viziato dal clima del dopoguerra e dalle varie interpretazioni storiografiche sul movimento di Liberazione (si spiega cosi' l'esclusione della memorialistica non coeva ), ma che invece trasporta anche emotivamente chi legge - come in un susseguirsi di vertiginosi flashback - dall'illusione del 25 luglio 1943, con la caduta del regime fascista e dei suoi simboli, fino all'aprile del '45 e ai festeggiamenti con le bandiere tricolori all'atto della liberazione di Milano.
    Dei due anni della guerra di Liberazione, il "diario" - seguendo un doppio registro, cronologico e tematico - mostra dal di dentro lo sbandamento dell'esercito italiano all'annuncio dell'armistizio; la lotta contro i tedeschi negli avamposti all'estero; la fatica della guerra civile sulle montagne e dentro le citta'; il carcere, le torture e gli eccidi nazisti; la deportazione nei lager; la scelta dei militari internati di non aderire alla Repubblica Sociale. Emergono, tuttavia, anche le divisioni - a volte violente - all'interno del movimento partigiano. Cosi' come si appalesa la linea di confine molto labile che, in qualche circostanza, passava tra chi militava nella Resistenza e chi sceglieva la Repubblica di Salo'.
    Le lettere e i diari dei partigiani, dei militari e dei deportati aiutano a comprendere lo spirito del tempo, i comportamenti, i timori, i pregiudizi, le speranze di una generazione di italiani che rifiuto' il fascismo e si ribello' ai tedeschi in nome della liberta' e dell'amor di Patria.
         
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