20 aprile 2024. La curva piena, come ai bei tempi, Cavese – Cynthialbalonga sta per cominciare. Gli aquilotti entrano sul terreno di gioco, uscendo dal tunnel tra il “pasillo de honor” degli avversari che celebrano il ritorno in C dei ragazzi di mister Di Napoli. Sono passati 18 anni dall’ultima volta che la Cavese ha vinto un campionato sul campo. Il pensiero va al 15 aprile 2006, a quel 2-1 in rimonta sul Sassuolo, alla rete di Aquino che fece esplodere il Lamberti e restituì la C/1 ai biancoblù dopo 30 anni di attesa. Mister Di Napoli era in panchina quel giorno, da secondo di Salvatore Campilongo, il demiurgo di quell’orchestra meravigliosa. Alessandro Tatomir, oggi il secondo di Di Napoli, di quella squadra era il Capitano e il punto di riferimento della mediana, un catalizzatore di palloni e di idee al servizio del collettivo. Ma il vero motore di quella formazione invincibile giocava in difesa ed indossava la maglia numero 6. Stiamo parlando naturalmente di Catello Mari, autentico baluardo, scugnizzo in campo e fuori che quel giorno contro il Sassuolo trascinò i compagni al successo come solo lui sapeva fare, con grinta e caparbietà, prima di lasciarsi andare al fischio finale durante i festeggiamenti all’emozione e alle lacrime di gioia. Le stesse lacrime, purtroppo di dolore, che poche ore dopo segnarono i volti corrucciati dei compagni e dei tifosi alla notizia della sua tragica scomparsa, a 27 anni, in un incidente stradale pochi metri dopo il casello di Castellammare di Stabia. Dal triste 16 aprile 2006, una Pasqua che nessuno a Cava ha dimenticato, al 20 aprile 2024. All’ingresso in campo dei calciatori di Cavese e Cynthialbalonga, lo sguardo di tutti va verso la Curva Sud. Due striscioni, uno in alto e uno in basso, che recitano “Sulla pelle, nel cuore, sui muri della città”, “Il tuo nome nell’anima per l’eternità!”; in mezzo dei cartoncini bianchi in un oceano di cartoncini blu formano il nome del Leone, mentre un drappo stilizzato traccia i contorni del suo volto. Il coro “E Catello è con noi…”, che tante volte riecheggia nella valle e in giro negli stadi, scuote il Lamberti e gela il sangue nelle vene. Gli applausi sono scroscianti. In tribuna papà Giuseppe, il fratello Angelo, il nipote Catello assistono alla partita che nel frattempo è iniziata e guardano la coreografia senza nascondere l’emozione. Come ha fatto questo ragazzo, così serio e così guascone, ad entrare nel cuore di tutti noi? Lui stabiese di nascita, cresciuto tra Castel San Giorgio e Roccapiemonte, gli anni del Ragioneria a Cava, i primi passi nel mondo del calcio, l’esplosione a Caserta e la consacrazione in due anni con la maglia della Cavese. Dal gol con inchino a Nocera alle lacrime di Gela, dalle prodezze balistiche con Prato, Bellaria e Sassuolo fino al tragico schianto. Catello era questo, dava tutto in ogni cosa che faceva e ha lasciato un segno indelebile in chi lo ha vissuto da vicino e in chi nei racconti o rivedendo vecchi filmati ha conosciuto le sue gesta. In una sera di festa per il ritorno in C è sintomatico che la Curva gli abbia voluto dedicare la coreografia più bella. E quando a fine partita la squadra, con capitan Foggia davanti a tutti, ha compiuto il giro di campo sventolando un lungo drappo biancoblù con la scritta C/1, lo stesso di 18 anni prima, il pensiero è tornato a quel pomeriggio del 2006, quando lo stesso Catello, seminudo e con un cappello da giullare, sul prato del Lamberti, ebbro di gioia per la promozione, correva, rideva e scherzava, sommerso dall’abbraccio dei tifosi. La vita dà e la vita toglie, e nel caso di Catello Mari il destino è stato troppo crudele e ce lo ha portato via troppo presto. Di sicuro, più passa il tempo, più il suo mito si rafforza. E nel suo nome due città, una volta rivali, oggi si rispettano più che mai. Due città che, a distanza di un giorno, quest’anno hanno coronato lo stesso sogno, centrando la promozione in C (la Cavese) e in B (la Juve Stabia). Casualità? Non credo proprio.
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