Sono passati ottant’anni ma il ricordo e il dolore sono ancora terribilmente vivi. Perciò non è stata una cerimonia formale quella celebrata a Balvano in memoria della tremenda disgrazia del 3 marzo 1944: quasi seicento persone morirono soffocate dai fumi tossici emanati dalla locomotiva che si era fermata nella Galleria delle Armi, tra Balvano e Potenza, per il carico troppo pesante. Venivano da Napoli in giù, da zone devastate dalla guerra, per procurarsi un po’ di cibo e roba necessaria per la vita quotidiana. Un dramma per tante, troppe famiglie, con responsabilità anche delle istituzioni, che fecero in modo da far passare le vittime come colpevoli contrabbandieri da non fare troppo rumore sull’evento.Tra le vittime, anche tanti cavesi, quaranta circa, la cui storia è stata poi recuperata, settant’anni dopo, dalla compianta giornalista Patrizia Reso. Il cui marito Lucio Senatore e il figlio Simone erano presenti alla commemorazione. Con loro Dina Bellucci, figlia di Raffaele, l’ultimo superstite della strage, scomparso nel 2016, che si salvò comprimendo sulla bocca un pugno di neve raccolta prima della Galleria. Tutta la cerimonia, con una celebrazione eucaristica ed un “pellegrinaggio” di gruppo in loco, è stata un’emozione forte, per i nostri amici cavesi e per tutti i partecipanti. Ma anche un invito a riflettere, come ha dichiarato Lucio Senatore: “Noi non possiamo dimenticare, noi siamo la sostanza della memoria.” Questa frase con cui inizia la prefazione del libro “Senza ritorno” di Patrizia Reso, risuonava come una sorta di ammonimento all’interno della chiesa madre di Balvano domenica 3 marzo 2024, dove rappresentanti di comunità cittadine, molti dei quali avevano avuto morti nella sciagura del 3 marzo 1944, testimoniavano il ricordo di fronte a 2 drappi recanti i nominativi delle 600 vittime.
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