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La primavera dei “Cavaiuoli” nel ‘600

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La seconda canzone di Vincenzo Braca ci rimanda ad una primavera di 4 secoli addietro

Venuta è primavera / con temperato sole / s’è bestuta a revera / de igli e de viole.

Con queste parole inizia la II canzone, di Vincenzo Braca, completamente dedicata ad una tipica primavera cavese. Nulla di eccezionale, se non fosse che lo scritto è degli inizi del 1600.

Un vero e proprio spaccato di vita quotidiana, incentrato sulla stagione dei fiori e dell’amore. Ci dice il Braca che è giunta la primavera a Cava e ha rivestito i campi con gigli e viole. È una stagione di letizia per il “craparo e o ‘bifurco” (il capraio e il bifolco) perché il freddo inverno è passato. Una stagione all’insegna dell’amore tanto è vero che “la Cava freme e ogni cavese corre a fare l’amore” (e a Cava spanta ca ogni Cavuoto corre a fare a amore). La natura è rigogliosa: tutti gli alberi si rivestono di fronde, i cavesi vanno a caccia e ‘a feḿena co ‘a foia cerca a amante (la donna con foga cerca l’amante). La natura attraversa un nuovo periodo: il mare è quieto, zeffiro spira e, in questo contesto, ogni cavaiuolo arde e sospira (et ogni Cavaiuolo arde e suspira). Lo scritto ci rimanda anche ai luoghi preferiti dei cavesi in questa stagione. Ritroviamo il Pisciricuo (Pisciricoli è una località di Cava dove una volta scorreva un piccolo ruscello, nella frazione di Pregiato), che scorre con la sua acqua fresca tra i piani e le uscite a Cetara e all’Aurilia (ossia all’Orilia nella zona di San Lorenzo).

Particolare è il passaggio dei cavesi che, lasciati gli zoccoli, scendono a Salerno per acquistare dei broccoli (Ogni Cavuoto i zuoccui te lassa, e ba a Saijerno a cattàrese i vruòccui). Dopo questa visione idilliaca, fatta di continui rincorrersi di giovanotti e giovani donne (Ninfe le chiama il poeta), si giunge alla fine della canzone. È uno schema tipico del Braca la conclusione e si ritrova in tutte e quattro le stagioni cavesi. Nel dettaglio, il poeta si ritrova sempre solo e sconsolato e chiede alla sua canzone di aggrapparsi a qualche pianta (una per ogni componimento) e far sapere la sua triste situazione. Nella primavera dice: Solo io meschino e afflitto, senza femmina accanto, me ne vado zitto zitto per la strada facendo gran pianto. Chiude con: Su su canzone mia, sopra una fava qualunque appenditi affinché tu possa difendermi, contro morte, amore e gelosia. La canzone in esame è stata inserita e proposta, per la prima volta in versione integrale insieme alle altre tre, nel ciclo “Le Stagioni Cavote”. La traduzione delle quattro canzoni è stata curata dal nostro editor Aniello Ragone grazie all’aiuto dei professori Lamberti e Bracale. Tutte le Egloghe e le Canzoni, in puro dialetto del XVII secolo, sono conservate in un manoscritto alla Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli con segnatura IX. F 47 e XIV. E 45.

(Si ringrazia il prof. Mario Lamberti per aver concesso l’estratto originale della II canzone

a cura di Michele Massa

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Sabato, 27 Luglio 2024 -
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